Una nuova ricerca suggerisce che i marcatori epigenetici nel sangue potrebbero essere utili per comprendere il rischio di demenza. Due documenti collegati dell’Università di Exeter e dell’Università di Maastricht hanno portato avanti una ricerca congiunta per dimostrare il potenziale della metilazione del DNA, un marcatore epigenetico, per comprendere l’influenza dei fattori genetici e dello stile di vita sul rischio di demenza.
Le firme di metilazione del DNA nel sangue sono molto informative
La metilazione del DNA è un marcatore chimico sul DNA che può attivare e disattivare i geni. I fattori genetici e lo stile di vita possono alterare la quantità di marcatura della metilazione del DNA sui geni ed è già noto che alcuni di questi fattori aumentano il rischio di sviluppare la demenza. La valutazione della metilazione del DNA può aiutare gli scienziati a capire in che misura questi diversi fattori influenzano il rischio di demenza e i meccanismi con cui innescano la malattia.
Nel più grande studio di questo tipo, pubblicato su Alzheimer’s and Dementia: the Journal of the Alzheimer’s Association, i ricercatori hanno analizzato la metilazione del DNA in 800.000 siti del genoma in campioni di sangue prelevati da 900 persone nell’ambito dello studio EMIF-AD MBD (European Medical Information Framework for Alzheimer’s disease Multimodal Biomarker Discovery). Lo studio contiene ampie informazioni cliniche sui partecipanti, che hanno tutti fornito campioni di liquido spinale, utilizzato per la diagnosi e il monitoraggio della malattia di Alzheimer in quanto a diretto contatto con il cervello. Tuttavia, poiché la raccolta del fluido spinale è una procedura invasiva, l’équipe ha valutato la possibilità di utilizzare campioni di sangue, analizzando le firme epigenetiche nel sangue che sono associate a biomarcatori della malattia di Alzheimer, in quanto più economiche e facili da raccogliere nella pratica.
Nel primo dei due lavori, guidato dalla professoressa Katie Lunnon della Facoltà di Medicina dell’Università di Exeter, l’équipe ha dimostrato che le firme di metilazione del DNA nel sangue possono riflettere alcuni biomarcatori proteici nei campioni di liquido spinale utilizzati per valutare la demenza. L’équipe ha esaminato queste firme insieme a 15 diversi biomarcatori del liquido spinale utilizzati per diagnosticare la demenza e ha evidenziato cambiamenti nello stato di metilazione dei geni chiave per alcuni di questi biomarcatori.
14 fattori di rischio noti di demenza
In un secondo articolo collegato sulla stessa rivista, il team, guidato dal dottor Ehsan Pishva dell’Università di Maastricht nei Paesi Bassi, ha creato punteggi di rischio epigenetico utilizzando le firme di metilazione del DNA nel sangue come proxy per 14 fattori di rischio noti di demenza. Alcuni di questi erano rischi modificabili in base allo stile di vita, come l’attività fisica e la dieta, mentre altri non erano modificabili, come l’età e le malattie cardiache.
I ricercatori hanno dimostrato che i punteggi di rischio epigenetico possono migliorare la previsione del rischio di declino cognitivo e di insorgenza della demenza, anche nelle fasi iniziali. La diagnosi precoce è fondamentale per migliorare lo stile di vita e accedere a potenziali nuovi trattamenti. Lo studio evidenzia come i fattori genetici, ambientali e di stile di vita contribuiscano allo sviluppo e alla progressione della demenza attraverso meccanismi epigenetici.
La professoressa Katie Lunnon della Facoltà di Medicina dell’Università di Exeter è l’autrice principale di uno degli studi e dirige il team Dementia Genomics, che ha già pubblicato una serie di documenti innovativi che esplorano l’epigenetica nel cervello e nel sangue in varie demenze. Secondo Lunnon, è noto che una serie di fattori genetici e di stile di vita possono aumentare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer e altre demenze. L’epigenetica è un’area di ricerca particolarmente interessante perché può mediare l’interazione tra il nostro patrimonio genetico, che è determinato al momento del concepimento, e i rischi ambientali che possiamo modificare.
L’uso di misurazioni epigenetiche dal sangue come approccio non invasivo per valutare il rischio di demenza
Secondo il dottor Ehsan Pishva dell’Università di Maastricht, autore dell’altro lavoro e a capo del team di Systems Biology of Dementia, il nostro punteggio di rischio epigenetico può migliorare la previsione del rischio di deterioramento cognitivo in diverse popolazioni e rappresenta quindi un significativo progresso nella ricerca sulla demenza. Lo studio, che ha comportato un’analisi avanzata di ampie serie di dati epigenetici provenienti da diverse coorti di demenza indipendenti, ha rilevato che il punteggio di rischio epigenetico è un predittore del futuro declino cognitivo nelle coorti di Alzheimer e Parkinson. Secondo i ricercatori, questi risultati evidenziano il potenziale dell’uso di misurazioni epigenetiche dal sangue come approccio non invasivo per valutare il rischio di demenza e aprono la strada a studi futuri che esplorano strategie sanitarie più personalizzate e preventive per combattere il deterioramento cognitivo.